giovedì 21 novembre 2019

Recensione: 'Mosaico: l'ultimo atto' di Marco De Luca

Dopo la segnalazione, ecco qui la recensione dell'ultimo capitolo di Marco De Luca, 'Mosaico: l'ultimo atto'! Abbiamo già conosciuto l'autore dato che ho recensito i primi due e naturalmente ecco qui il mio pensiero anche sull'ultimo della trilogia!






Titolo: Mosaico: L'ultimo atto

Autore: Marco De Luca

Genere: Narrativa storica

Formato: Cartaceo (brossura) & digitale

Prezzo: 14.50€ cartaceo, 2,99€ digitale, gratis su Kindle Unlimited

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Trama

Anno Domini 1607. Venezia non è più la signora del Mediterraneo del secolo precedente, sul magnifico spettacolo della sua gloria sta per calare il sipario. In uno degli inverni più freddi che si ricordi in laguna, un nobiluomo viene trovato morto; sul suo corpo un pugnale turco. L’Inquisitore Nero Fabio Florian viene chiamato a indagare sul primo di una serie di omicidi atti a ribaltare la vera essenza di Venezia. Sullo sfondo di queste morti c’è la volontà veneziana di conservare l’autonomia a dispetto delle pretese ecclesiastiche e l’ombra della riforma protestante che inizia a piegare le menti della nobiltà lagunare. Per far luce sulla vicenda, gli eroi di Mosaico calcheranno di nuovo le scene per l’ultimo, sanguinosissimo atto. A tutti verrà chiesto un sacrificio. Quale sarà il prezzo da pagare per proteggere Venezia dai suoi nemici?

«Mio Capitano… Anzi, Iñacio, vi capisco se avete deciso di disinteressarvi delle sorti di Venezia. Però non posso neanche dimenticare cos’è questa città. È parte di ciò che sono, ed è parte di ciò che siete voi, lo sapete. È la patria adottiva degli uomini e delle donne di tutto il mondo che non hanno niente, salvo che intelligenza, coraggio e ambizione. Certo, non tratta tutti con uguale generosità, voi e io lo sappiamo; ma il fatto che un puntino rosso sulla riva di uno stagno, come dite voi, sia stata resa grande dall’intraprendenza e dal coraggio dei suoi uomini al punto da trattare da pari a pari con i potenti della Terra per me significa qualcosa. Quei tempi stanno finendo? Forse sì, certo. Ma non sarò io a prendermi la responsabilità di farla cadere, se posso fare qualcosa per salvarla.»

Siamo arrivati all'ultimo capitolo che conclude degnamente la trilogia di Mosaico.
Anche questa volta sono rimasta colpita dai dettagli storici che l'autore è in grado di mostrarci, incastrandoli all'interno della sua opera. Non solo quindi, andiamo a leggere un romanzo davvero ben scritto e con una trama strutturata alla perfezione, ma impariamo anche. L'autore infatti non si limita a delinearci la storia della Venezia del 1600, ma va più a fondo, andando a ricercare dei particolari che nella maggior parte dei casi non conosciamo. E' uno studio che l'autore ha portato a compimento anche con i precedenti libri e non sono rimasta delusa con questo.
Ammetto che il 1600 è un periodo che amo: la Serenissima non ha più la supremazia sul Mediterraneo e iniziano ad arrivare le idee della riforma protestante mandata avanti da Enrico VIII. Roma vacilla e Venezia sembra accusare un colpo più grande di quanto si aspettasse.
In questo quadro fatto di cospirazioni e paure, un omicidio sconvolge la città lagunare. L'eccellente Marino Lippomano viene trovato assassinato, colpito da un pugnale turco che si scoprirà far parte di un omaggio all'ambasciatore del Re d'Inghilterra. Per far luce su quanto è accaduto viene chiamato il nostro ormai caro amico Florian, e allo stesso tempo, volente o nolente anche Inacio Cortés vi si ritroverà invischiato in una maniera che non avrei mai creduto che si realizzasse.
Cortés si trova a Venezia insieme a sua figlia, Sofia, mentre Chiara è rimasta a Costantinopoli e riceve la visita di uno pseudo-mercante di Venezia che ha tutta l'intenzione di trattare con Cortés per l'acquisto di una reliquia, il femore di un santo. Ho amato come Chiara riesca, come sempre, ad ottenere ciò che vuole anche in un contesto come questo. Si fa accompagnare da questo Marco Chinellato fino a Venezia, per ricongiungersi a suo marito e sua figlia.
Anche se sono passati diversi anni ritroviamo tutti i protagonisti degli scorsi volumi con sempre la loro audacia e la loro intelligenza. Anche adesso, che vorrebbero lasciarsi tutto alle spalle e non immischiarsi negli affari politici della città, considerando che Venezia è ormai sul finire dei suoi anni d'oro, ne rimangono comunque invischiati, in un mosaico complicato che traccerà il loro ultimo tassello.

Personaggi

 I nostri personaggi non sono più gli stessi di prima, fisicamente parlando. Sono passati alcuni anni ma la loro tempra è rimasta la stessa. Cortés è sempre lo stesso uomo forte e giudizioso di un tempo, protettivo con la figlia che ha avuto da Chiara e con la quale riesce a far trapelare entrambi i suoi lati del carattere. Cortés è infatti diventato un padre che ha saputo come farsi amare dalla figlia: Sofia gli è devota, talmente tanto che accetta di obbedirgli anche in quello che realmente non vorrebbe fare -pur trovando comunque un compromesso. Ne parla bene, lo trova coraggioso e affidabile e ho davvero adorato il rapporto che c'è stato tra i due dato che inizialmente avevo paura che potessero esserci degli alterchi tra loro. Invece il legame che si è creato fra questi due personaggi è quanto di più dolce e perfetto possa esserci. Ed è proprio Sofia a scatenare in Cortés tutta la sua rabbia e la sua forza, anche se ora è un uomo un po' avanti con l'età. Lo vediamo quando 'Il Capitano' ovvero il comico Tristano Mandelli si innamora di Sofia e inizia a seguirla in un modo che Cortés non approva e che gli farà passare la voglia in poco tempo. Ho sorriso in quella scena, Cortés è apparso proprio come un padre protettivo ma ci viene comunque data l'informazione che è rimasto forte fisicamente, che i suoi sensi non si sono annebbiati e che ha scoperto subito che qualcuno stava seguendo sua figlia. Trovo che questa sia stata una scena che ha funzionato alla perfezione: in poche pagine infatti ci vengono forniti i dettagli necessari che ci servono per farci intendere com'è che rimasto Cortés e cosa è invece cambiato in lui.
Non voglio e non posso fare spoiler ma quello che succederà al personaggio non me lo aspettavo proprio. Quando sono arrivata in quel punto ho dovuto rileggere la scena almeno tre volte, non perché non fosse scritta bene, anzi, ma proprio perché non riuscivo a crederci. Credo che sia quello che un libro dovrebbe fare sempre, farci affezionare a un personaggio così da darci degli scossoni in certi momenti. Se mi sono emozionata? Assolutamente sì. Se ci sono rimasta male per alcune cose? Anche. Avrei immaginato un qualcosa di diverso eppure capisco che è ben fatto nonostante quel retrogusto di amaro che permane. Ma è proprio questo amaro che rende il libro così verosimile: che ci dà quella sensazione di malessere che ormai è insito in Venezia, che bisogna accettare che cose del genere possano accadere a chiunque.
Chiara è rimasta fantastica: anche se sono passati degli anni la sua bellezza non è sfiorita. Riesce ancora ad ottenere ciò che vuole grazie specialmente alla sua astuzia. Questo lo vediamo in particolar modo nella scena con il mercante, quando dà un'analisi dettagliata della reliquia che l'uomo che le ha portato. Sicuramente Chinellato non si aspettava una cosa del genere e ha dovuto abbassarsi alle volontà di Chiara anche se è il classico uomo che non vorrebbe mai ascoltare una donna. Cerca come può di denigrarla, chiamandola cortigiana, eppure Chiara non si smuove.
E più lei non reagisce più lui si sente istigato fino a quando Chiara non lo mette al suo posto con le parole giuste con la stessa cortesia di sempre.
Sua figlia è come lei, bella e aggraziata, ma molto più avventurosa, oserei dire. Suo padre vorrebbe che imparasse le buone maniere, l'arte del ricamo e la preghiera, per questo le propone di andare in convento. Sofia accetta ma a un buon compromesso per lei. Mi immaginavo che sarebbe stata un po' dispotica e che non avrebbe sopportato la rigidità di un luogo del genere, invece sa farsi apprezzare e allo stesso tempo rimane ancorata ai suoi pensieri, non cambiando mai idea. Mi è piaciuto vederla lambiccarsi il cervello sulle giuste parole da usare, la sua incertezza nel capire se avesse risposto bene o male a qualcuno senza mancare di rispetto. L'ho apprezzato perché in questo modo ci è stata mostrata la differenza tra lei e sua madre: Chiara essendo ormai avvezza a conversazioni scomode sa sempre cosa dire al momento giusto, mentre Sofia, essendo più giovane sta ancora imparando e ha i suoi dubbi. Questi sono gli esempi perfetti di quando dico che bisogna mostrare una scena anziché raccontarla. Il lettore, in questo modo, lo capisce da solo senza che gli venga scritto e venga accompagnato per mano pagina per pagina.
Ritroviamo anche Inés, personaggio che ho sempre amato e compatito. Anche in questo romanzo viene sfruttata ma riconosce il suo merito e stavolta pretende. Anche se alla fine nemmeno il suo ultimo desiderio viene esaudito penso che sia meglio così: non sarebbe stata, secondo me, un finale giusto per lei. Sono rimasta dispiaciuta di Florian, stavolta.
Dico stavolta perché nell'ultimo libro, proprio quando stava cominciando a piacermi, è tornato ad essere se stesso, ovvero il classico sfruttatore che pensa ai propri interessi e che non sta realmente aiutando. E invece adesso l'ho davvero compatito: mettersi in mostra in un contesto del genere lo ha portato a perdere la sua famiglia, quell'ultimo tassello che lo faceva reggere in piedi.
A leggere quella scena sono stata davvero male per lui, forse perché l'ho visto per la prima volta più umano e più debole. Che non poteva far altro che piangere. Questo, l'ho sinceramente apprezzato per quanto sia stato triste.

Stile

Credo che si sia già capito che amo davvero molto lo stile dell'autore. Usa alla perfezione lo show don't tell, una scena ce la fa vivere e ce la fa comprendere nel modo giusto, e anche nelle parti in cui ci sono delle digressioni storiche non appaiono per niente pesanti. Io le ho lette con molta curiosità e interesse e adoro quando scrive delle chicche che non sapevo e che ora non dimenticherò mai -ecco, l'etimologia di 'salamelecchi' non la conoscevo e ora mi è rimasta talmente impressa che non perdo occasione di insegnarla a qualcun altro, ringranziando e citando l'autore-.
Anche per questo volume abbiamo delle missive, o degli intercalari, nell'idioma seicentesco. Non oso nemmeno immaginare il lavoro certosino che c'è dietro. Non è assolutamente facile scrivere un'intera lettera usando parole dialettali dell'epoca, per questo quelle parti le ho sempre lette con particolare attenzione e me le sono gustate appieno.
Con un lavoro del genere, con dei personaggi così vivi e con uno stile così ricercato, non posso che assegnare il massimo del punteggio.


 

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