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giovedì 26 novembre 2020

Recensione: 'Mamma torna presto' di Angela Madonia

 Oggi vi porto una recensione decisamente diversa. Si tratta di una storia vera, di 45 giorni sofferti. Oggi ricorre l'anniversario della morte di Concita e sua figlia, Angela Madonia, fa uscire proprio in questo giorno le sue memorie per onorarla.

 

 

Titolo: Mamma torna presto: gli ultimi 45 giorni di Concita

Autrice: Angela Madonia

Edito da: Athenaeum

Sito dell'autrice: qui 

 Data di lancio: 26 novembre 2020




Un libro necessario: ciascuna pagina è lì a ricordarti, tra carezze, sorrisi e schiaffi alla coscienza, che ogni giorno è prezioso, che gli abbracci e le parole del cuore non si dovrebbero mai frenare, rinviare ad un domani che rischia di giungere troppo tardi o non arrivare mai. Un racconto struggente e intenso, scritto con tutti i colori e la verità della vita.

 Oggi per l'autrice è un giorno intenso, un giorno che ho potuto vivere attraverso i suoi ricordi. Un anno fa infatti la sua mamma si è spenta di cancro, dopo 45 giorni di lotta in ospedale. Il giorno in cui tutto è cominciato l'autrice lo ricorda come un giorno nefasto, che lo è sempre stato. Anni prima, nel 2006, quando lei aveva diciotto anni, morì suo padre. Ci racconta del rapporto che aveva con i suoi genitori, che forse non era dei più affettuosi, ma c'era empatia, c'era affetto, c'era protezione. Dopo la morte del padre Angela è rimasta quindi con sua madre e per un po' separata da lei dato che Concita era a Enna mentre lei si è trasferita a Bologna per continuare i suoi studi di canto. Studi che in seguito le hanno fruttato dei contratti. Alla fine però anche Concita si trasferisce a Bologna e Angela si prende cura di lei, dato che deve spesso subire numerosi controlli in ospedale. Ma all'epoca il mostro non era stato ancora scoperto, forse nemmeno esisteva. Perché i controlli venivano fatti e non c'era niente che potesse dare avvisaglie. A dir la verità, l'autrice pensa che forse quelle avvisaglie c'erano state ma lei, anche se preoccupata, aveva dato retta a sua madre, che la tranquillizzava di stare bene. Quando si sentiva particolarmente in ansia e in quel momento non poteva stare con sua madre, mandava qualche amica e quando si sentiva dire che andava tutto bene era come togliersi -quasi- un grosso peso dallo stomaco. Il messaggio finale che l'autrice vuole trasmettere con questo romanzo, oltre a raccontare gli ultimi momenti della mamma, è dare come una rintronata a tutti i genitori: è un bene infatti che un figlio si debba preoccupare di loro, è giusto che dicano di stare male, è giusto che non minimizzino quello che provano pur di non far preoccupare. Come possiamo non capire perfettamente quello che vuole intendere Angela? I genitori hanno fatto e faranno sempre così. Pur di non farci preoccupare, si costruiscono una corazza che allo stesso tempo è come se volessero adagiare anche su di noi. Essere forti, sopportare, è questo il lungo viaggio che porta una malattia. Eppure nessuno ha mai una colpa. L'autrice ha fatto il possibile, le visite venivano effettuate regolarmente. Purtroppo il cancro è una brutta bestia che compare all'improvviso e poi o lentamente o velocemente in alcuni casi porta via. Nel momento in cui Angela ci racconta di quando le hanno comunicato la notizia della malattia di sua madre, mi sono sinceramente commossa. Ho vissuto anche io una situazione analoga, anche se non con un genitore, ma con con un nonno che per me è stato un secondo padre. Sentirsi dare quella notizia in un momento in cui non se lo si aspetta è sconvolgente. Angela però è rimasta forte, inizialmente ha scelto di non rivelare nulla a sua madre e ha convissuto per alcuni giorni con quel grande peso da sola. Si è mostrata sorridente quando l'andava a trovare, scherzava con lei, addirittura arrivò anche a bisticciare ma nonostante tutto adorò anche quell'attimo, perché le sembrò finalmente di vivere un momento di normalità. Con sua madre litigava spesso per piccole cose e farlo anche lì all'ospedale fu come ritornare tra le mura di casa.

Viviamo 45 giorni in cui vedremo le piccole gioie, i piccoli traguardi raggiunti, come quando Concita finalmente può di nuovo mangiare del brodo, il suo piatto preferito e Angela non ci pensa un secondo nel tornare a casa e prepararglielo. Assistiamo anche ai momenti di sconforto, di pianti liberatori, di preghiere e di speranza. Angela ha inserito nel suo racconto alcune foto che ha fatto a sua madre durante quei giorni in ospedale. Sua madre ci scherzava su, voleva vedere come stava e lei stessa si faceva dei selfie che Angela ritroverà successivamente sul cellulare. Vedere sia lei che Concita è stato come essere davvero con loro nel rivivere quei giorni. Mi sono sentita catapultata in quella camera d'ospedale, tra le loro chiacchiere, le loro battute perché Concita non si scoraggiava mai. La frase che più mi è rimasta impressa è quando dice all'infermiera che lei aveva tutta l'intenzione di vivere. E ce l'aveva, gli stessi infermieri si rendono conto di quanto sia forte il suo cuore, che un altro al suo posto se ne sarebbe già andato. Ma come dice Angela, sua madre avrà potuto soffrire di diversi problemi ma aveva davvero un cuore d'acciaio. Un cuore che pompava e che l'ha resa forte, fino alla fine.

Quello che mi ha lasciata impressionata e di cui spesso mi sono domandata durante la lettura su come davvero avesse fatto, è la grande capacità dell'autrice di destreggiarsi tra lavoro e ospedale con una forza davvero fuori dal comune. Quanto deve essere difficile andare al lavoro, dover cantare, dover avere un sorriso stampato perché di fronte al pubblico non puoi permetterti di piangere? Come si riesce a rimanere concentrati pensando che vuoi soltanto passare più tempo con quella persona che ha bisogno di te? Ho ammirato Angela per la tenacia che ha dimostrato. Anche se non la conosco leggendo i suoi ricordi mi ha dato l'impressione di una ragazza con una tempra di ferro, capace di affrontare qualsiasi avversità, anche con il dolore a straziarle il cuore. Lavorare, andare da sua madre e sorriderle, questo tutti i giorni per quei quarantacinque giorni. Uno dei momenti più toccanti del racconto è quando insieme alla sua amica si reca in chiesa a pregare. Si è sentita subito meglio, come pacificata e credo di aver inteso molto bene quella sensazione. 

Concita, o meglio Concetta ma lei proprio non voleva essere chiamata così, è stata anche lei una donna forte e da questo racconto posso capire molto bene da chi Angela ha preso! Due donne caparbie, amanti della vita che hanno combattuto insieme nascondendo tutte le tribolazioni. Concita ingoiava le lacrime, sopprimeva il dolore quando Angela andava a trovarla. E Angela faceva lo stesso. Credo che in occasioni del genere sia i genitori che i figli riescono a far emergere una forza così incredibile che mai avrebbero pensare di avere. Ma si fa, perché l'uno ama l'altro e la cosa più terribile per chi si ama è vederlo soffrire. Ho amato tutto di questo racconto, per un momento mi è sembrato quasi di conoscerle, di capire ciò che provavano, di capire quanto è devastante una battaglia contro un mostro del genere. Non vi nascondo che in più di un passo ho pianto perché le parole dell'autrice sono così dolci, così toccanti che davvero è stato come essere lì. 

Penso che Angela abbia fatto benissimo a riportare sua madre a Enna per quell'ultimo viaggio anche se lei aveva espresso diversamente. Io avrei fatto lo stesso. La mamma meritava di riposare nella sua terra natia, insieme a tutte le persone che le hanno voluto bene in vita. Angela avrà sempre l'occasione di passare, di portarle un mazzo di fiori. Non è la distanza che distrugge la memoria. Io spero davvero che abbiate tutti voi modo di leggere questo racconto, di immergervi nei pensieri intimi dell'autrice e di far parte un po' con voi di quei quarantacinque giorni.

Grazie Angela.



 


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