Il mito dei Nibelunghi tra Wagner e Tolkien
presentazione a cura di Francesco Sangriso
Sabato 27- 28 luglio,
ore 17.30
Sala Regia, piazza del Comune,
Viterbo.
ore 17.30
Sala Regia, piazza del Comune,
Viterbo.
Le leggende di Sigfrido e Brunilde, dell'Anello maledetto e della caduta dei Nibelunghi, attorno al quale il medioevo di lingua germanica intessé uno dei cicli mitici più affascinanti di sempre, furono – com'è noto – di notevole ispirazione per J.R.R. Tolkien, il quale non solo riscrisse La leggenda di Sigurd e Gudrún in versi inglesi, ma ne recuperò i motivi per molti degli intrecci fondamentali dello Hobbit e del Signore degli anelli.
Un'analoga operazione mitopoietica fu eseguita in epoca romantica da Richard Wagner che, con il suo ciclo L'anello del Nibelungo, composto da quattro imponenti drammi musicali (L'oro del Reno, La valchiria, Siegfried e il Crepuscolo degli dèi), rivoluzionò l'idea teatro, non solo sintetizzando tutti gli aspetti della rappresentazione drammatica in un'unità comprendente l'elemento testuale, musicale e scenico, ma creò un nuovo approccio creativo al mito, che viene allo stesso tempo riscoperto e riattualizzato. Un processo che, nel suo profondo significato cosmogonico, trova un'analogia con il programma tolkieniano della "sub-creazione".
Un'ulteriore e meno nota caratteristica in comune tra Wagner e Tolkien è l'acribia filologica con cui i due autori si approcciarono alle fonti di partenza, rielaborando direttamente il materiale mitologico tramandato dai testi in lingua norrena, piuttosto che le riscritture cortesi tedesche, e quindi attingendo direttamente alle due Edda e la Saga dei Völsunghi, che fornirono il materiale primario per le rielaborazioni moderne del ciclo nibelungico.
L'operazione mitopoietica eseguita da Wagner rivela una complessa stratificazione di interpretazioni ideologiche e filosofiche operate sulle leggende originali sulla scolta non solo dello spirito romantico del tempo, ma anche della concezione del mito che si andava elaborando nell'Ottocento. Ma ciò che inaspettatamente risulta agli occhi del filologo, è che Wagner – l'interprete per eccellenza dello spirito e dei valori tedeschi – era forse molto meno "tedesco" di quanto ci si aspettasse e assai più vicino ai temi e al sentire scandinavi.
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